I suoni delle cose

Il passo lento, la ciabatta strusciata lo riporta a quando impaziente doveva passare da una stanza all’altra ma la porta era ostruita dall’enorme stazza della nonna, che incedeva lenta e malsicura appoggiandosi alla parete. Lui aveva fretta, aveva cose importanti da fare, muovere il suo corpo con scatti, corse, risate e occhi meravigliati su quello che vedeva intorno a sé e la sua mente trasformava.

Erano anni di rispettosa maleducazione, voleva bene alla nonna, sapeva che faticava a camminare, ma coltivava l’impazienza di portare a termine la sua missione così cercava un po’ di spazio, un po’ di luce tra le sagome per passare oltre con leggere spintarelle che la nonna sentiva come forze titaniche che le sbilanciavano l’equilibrio e lei le ostacolava tenendosi con più forza al muro e riprendendo il nipote. «Scusa nonna!» urlava correndo via, aveva cose più urgenti che dichiararsi pentito.

Oggi l’ingombro è diventato lui. Ma non ci sono nipotini irruenti per casa, la solitudine è la sua compagnia. Nel silenzio i suoni delle cose prendono il sopravvento: la ciabatta strusciata, l’anta aperta, lo svitare della moka, lo svitare del barattolo del caffè, il quasi impercettibile affondare del cucchiaino nella miscela, la chiusura della moka, il sibilo del gas che esce dal fornello, il tic tic per accenderlo, il botto lieve che lo trasforma in fuoco, la sedia spostata e l’attesa del gorgoglio della moka accompagnato dall’aroma. Nel silenzio si concede il lusso del nulla, nessun pensiero, nessun ricordo, nessuna ansia per prendere l’appuntamento di una visita medica o il pagamento di una bolletta. Sono cose che possono aspettare. Ha imparato ad assaporare il nulla, respira l’attesa e la trasforma in cosa viva, percepisce uno stato di piacere che in gioventù credeva impossibile di poter godere. Ora lo apprezza, anzi, non ha prezzo, è un privilegio che ha rubato ai gatti: sta vivendo del dolce far niente, del semplice stare. Non è in grado di raggomitolarsi come loro, ma il piacere è lo stesso: sta lì, seduto e sente la vita piena di significato.

Eccolo il borbottio, l’olfatto viene stuzzicato dall’aroma tentatore, la sola forza che lo può smuovere dalla sedia, solo a lui deve obbedienza. Si prende la tazza grande, ci svuota il caffè, una spruzzata di sciroppo d’agave (da quanto era diventato così pretenzioso?), una mescolata col cucchiaino, lo fa tintinnare all’interno del bordo della tazza per farlo sgocciolare, poi per sicurezza se lo porta in bocca, meglio essere sicuri di non perdere neanche una goccia. Si appoggia al lavello per gustarsi quel piacere, senza fretta, soffia, sorseggia, se lo gioca dentro la bocca con la lingua quasi baciasse la sua amante, un’amante sudamericana che sa di foresta e di sole, di ballo e sudore.

Sorso dopo sorso, senza fretta, come quando vorresti che le carezze dell’amore non finissero mai.

Ora si gira, apre il rubinetto e lascia scorrere l’acqua perché si intiepidisca, prende in po’ di sapone liquido, lava la tazzina e il cucchiano e li pone nello sgocciolatoio. Sorride, ha vissuto un bel momento.

Ora si va in bagno, si passa la mano sul viso, la barba è da rasare ed è un lavoro che va fatto bene. Struscia le ciabatte, lascia la cucina alle sue spalle, c’è il corridoio e la porta del bagno ad attenderlo: «Rasoio e pennello, arrivo!».

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